Negli ultimi tempi la dieta vegana è salita agli onori della cronaca non solo perché desta interesse in alcune fasce della popolazione, ma anche perché è stata associata ad episodi di malnutrizione, spesso gravi, in lattanti e bambini della prima infanzia. I media hanno talora anche evidenziato opinioni e valutazioni differenti tra operatori sanitari e comunità scientifiche sul veganesimo, e non deve meravigliare se nell’opinione pubblica e, a volte, tra pediatri, ci siano opinioni non proprio concordi. La dieta vegana oltre a non considerare l’assunzione di carne o pesce, non prevede nemmeno alimenti di origine animale, come latte, uova o miele. L’American Dietetic Association (ADA) ritiene che la dieta vegana sia adatta a ogni individuo, a prescindere dalla sua età e dallo stato fisico, in gravidanza o in allattamento, finanche nel lattante, nel bambino, nell’adolescente e negli sportivi. La Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (ESPGHAN), al contrario ritiene che la dieta vegana non dovrebbe essere concessa ai lattanti e ai bambini più piccoli. Questa disparità di vedute tra prestigiose società scientifiche potrebbe essere spiegata (forse) dal maggior valore e dell’importanza che i pediatri dell’ESPGHAN danno all’età della prima infanzia, in cui ogni bambino non solo ha bisogno di crescere, ma anche di continuare lo sviluppo dei propri organi, non ancora completo alla nascita. Può la dieta vegana garantire questo? Sicuramente mancano studi sufficienti ed attendibili per capire l’influenza del veganesimo sulla crescita. Possiamo consigliarla ad un bambino del quale vogliamo tutelare e promuovere la salute fisica e mentale? Il rischio maggiore potrebbe essere rappresentato da una scarsa varietà di cibi utilizzati: è noto che maggiore è la scelta di alimenti, minori sono le possibilità che si realizzino carenze nutrizionali. Oltre che per la scarsità negli alimenti vegetali di alcuni nutrienti (vitamine B12 e D, acidi grassi omega 3 ecc), nei bambini vegani si possono osservare carenze nutrizionali anche per il minor assorbimento di alcuni elementi (ferro, zinco, calcio ecc) per la presenza di fibre, fitati, ossalati ecc, particolarmente abbondanti nelle diete non onnivore. La vitamina B12 viene prodotta da batteri probiotici nell’intestino di animali e umani, negli alimenti vegetali non si trova e quindi va integrata. L’integrazione, nei vegani dovrebbe iniziare fin da quando la madre è in gravidanza e deve continuare durante l’allattamento in modo che possa passare dal latte materno al neonato.
Ma la carenza di B12 non è un problema solo di chi è vegano. Negli alimenti animali in teoria la vitamina B12 c’è, ma è ovvio che se la carne che mangio proviene da allevamenti intensivi dove agli animali vengono somministrati antibiotici, la B12 non la troviamo neppure lì e quindi possono esserci carenze. In Italia comunque circa l’1% della popolazione osserva un’alimentazione vegana e non è difficile che un pediatra possa incontrare, nella sua attività professionale, più famiglie e bambini con tale stile di vita. E’ opportuno discutere con i genitori, consigliarli sempre e seguire attentamente la crescita e lo sviluppo psico-motorio dei bambini, prevenendo così possibili conseguenze sulla qualità dello sviluppo dei loro bambini. La preparazione del pediatra deve comprendere anche le basi culturali necessarie a pianificare una dieta vegana e accompagnare in modo competente i genitori che chiedono, talvolta in modo fermo, di allevare i propri figli secondo il loro stile di vita, con lo stesso rispetto che riserviamo ai genitori appartenenti a gruppi religiosi che prevedono restrizioni alimentari ai propri fedeli. Le diete vegetariane/vegane devono essere ben strutturate, specialmente nei periodi come svezzamento e infanzia e il problema è che non tutti i pediatri sono abbastanza specializzati in merito, anche perché nelle facoltà di Medicina non c’è adeguata attenzione alla formazione in nutrizione. Spesso si assiste ad una mancanza di volontà ad educare le persone ad uno stile di vita corretto a partire dalle scuole elementari. In Italia abbiamo il più alto tasso di bambini in sovrappeso, il 25% tra i 3 e i 6 anni, ma questo ormai non fa più tanto notizia.
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