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Immagine del redattoreDott.ssa Maria Maranò

Sindrome di Asperger






La sindrome di Asperger deve il suo nome ad un medico pediatra, psichiatra austriaco Hans Asperger che per primo descrisse questa patologia nel 1943 e fu inclusa nel DSM nel 1944.

La sindrome di Asperger è correlata con i disturbi dello spettro autistico e la sua caratteristica principale è una difficoltà nelle interazioni sociali e comportamenti insoliti.

A volte viene definita come “condizione di autismo a più alto funzionamento” perché chi ne è interessato ha buone capacità intellettive, può raggiungere un soddisfacente livello di autonomia e nella maggior parte dei casi, utilizza il linguaggio in modo appropriato.

Ma ci sono comunque delle differenze sostanziali tra la Sindrome di Asperger e l’autismo: il bambino con Asperger può avere un attaccamento verso i suoi familiari, può essere loquace, anche se il suo approccio verbale può essere spropositato o inopportuno, invece i bambini con autismo parlano pochissimo o niente e spesso non si relazionano con i familiari o con l’ambiente circostante.

A volte la sindrome di Asperger viene chiamata “disabilità nascosta”, dura per tutta la vita e a volte le persone sanno di averla da quando sono bambini, altri lo scoprono da adulti.

Come l’autismo la sindrome di Asperger si manifesta nell’infanzia e la diagnosi si può avere anche intorno ai 3-4 anni, il neuropsichiatra infantile deve formulare la diagnosi dopo una attenta valutazione. Colpisce più i maschi che le femmine e nonostante le cause siano sconosciute si è notata una certa familiarità genetica nello sviluppo di questa patologia, in particolare se il padre ne è affetto.

Questa sindrome non sempre impedisce di diventare adulti con una vita quasi normale in termini di lavoro e relazioni sociali, secondo alcuni medici molti degli adulti con sindrome di Asperger non sono mai stati correttamente valutati e non hanno avuto una diagnosi in merito.

SINTOMI della Sindrome di Asperger


I bambini sono spesso silenziosi, chiusi in loro stessi e poco reattivi; presentano difficoltà a comprendere il senso di un discorso diverso da quello letterale pur avendo un quoziente intellettivo nella norma o a volte superiore ed una capacità di linguaggio sviluppata.

Il disturbo investe soprattutto l’ambito della comunicazione e relazione sociale: il bambino non riesce ad imparare quei comportamenti che consentono di entrare in armonia con il mondo esterno e quindi scarsa capacità empatica, interazione sociale inappropriata, limitata capacità di stringere delle amicizie, a volte isolamento sociale.

Il bambino può non comprendere lo stato d’animo di chi gli sta di fronte, non sente il bisogno di condividere le gioie, non reagisce alle lodi, assenza di mimica facciale, incapacità di rapportarsi con i coetanei con comportamenti appropriati.

Spesso, anche se non sempre, si unisce una “goffaggine motoria”, che si esprime inizialmente con difficoltà ad imparare a camminare, scarsa abilità nei giochi di movimento e nelle attività che richiedono l’uso delle mani, per es. prendere il pallone con le mani, difficoltà ad andare in bicicletta, salire o scendere le scale, usare uno scivolo o rimanere in equilibrio sui giochi, comunque movimenti maldestri e posture goffe.

La sindrome è caratterizzata anche da rigidità di pensiero e comportamenti bizzarri e inusuali con scarsità di interessi. Per periodi lunghissimi, anche per anni i bambini colpiti possono mostrare curiosità solo per un determinato argomento (per es la geografia), potrebbero voler fare lo stesso gioco o la stessa cosa ogni giorno o attuare rituali curiosi e ripetitivi.

Bisogna considerare che possono essere vittima di bullismo a scuola perché gli altri bambini pensano che loro sono diversi, ma bambini con sindrome di Asperger spesso sono bravi a fare qualcosa, ad es possono essere molto bravi in matematica, in arte o musica, possono essere molto bravi a memorizzare informazioni o a concentrarsi in una attività particolare.

L’unico sistema per diagnosticare la sindrome di Asperger è attraverso dei test che si basano su analisi cliniche e comportamentali del paziente.

E’ difficile parlare di “terapia”, non c’è una adeguata e risolutiva terapia!

I trattamenti farmacologici mirano ad intervenire su sintomi comportamentali specifici, come l’iperattività (trattata generalmente con dei farmaci antidepressivi) o i rituali ossessivi (trattati con medicinali antipsicotici), ma comunque si tratta di farmaci sintomatici e non privi di effetti collaterali.

Si interviene inoltre con training cognitivo-comportamentale che migliorano le abilità sociali dei ragazzi.

Anche carenze nutrizionali di elementi fondamentali per l’organismo (calcio, zinco, manganese e ferro) costituiscono un importante fattore che predispone alla patologia, in particolare il deficit di zinco è connesso all’insonnia, all’apprendimento e alla tendenza alla violenza.

Studi recenti hanno individuato nello sviluppo di tali patologie simili un ruolo fondamentale dell’esposizione cronica a sostanze metalliche (metalli pesanti, tossici ambientali) e utilizzo di droghe, fumo, alcol o farmaci particolari in gravidanza.

Da questi studi emerge che i bambini mantengono la suscettibilità neurotossica a queste sostanze anche dopo la nascita.

Un approccio terapeutico completo dovrebbe comprendere oltre alla terapia psicomotoria anche una adeguata educazione ad una dieta sana e salutare priva di conservanti o inquinanti, una indagine sul microbioma intestinale, indagine su eventuali allergie e/o intolleranze alimentari e sull’eventuale deficit di alcuni oligoelementi.

L’approccio olistico alla base della terapia omeopatica esamina i sintomi generali della malattia e quelli manifestati dal soggetto individualmente e che si riferiscono ad una specifica personalità.

L’azione della terapia omeopatica non è finalizzata alla eliminazione della manifestazioni cliniche ma al raggiungimento dell’equilibrio psico-fisico stimolando le difese dell’organismo del bambino in toto.

Questo tipo di approccio terapeutico viene oggi sempre più richiesto e questo è dovuto non solo ai risultati positivi ottenuti, ma anche alla possibilità di offrire delle soluzioni che migliorino la qualità di vita del bambini (e dei genitori) anche in associazione ad altre terapie convenzionali.

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